Indeterminazione

Studiolo n°18

Pubblicazione scientifica

Storia dell'arte

Éditions Macula

Sotto la direzione di Francesca Alberti & Sam Stourdzé

02.2023

Prezzo : 28€

I vari volumi dello Studiolo sono in vendita per corrispondenza e a Villa Medici (per acquistare e ritirare i volumi a Villa Medici, prenota al seguente indirizzo: [email protected]).

Su Studiolo n°18 La sfida posta alla storia dell'arte dall'indeterminatezza è grande, qualunque sia l'approccio alle immagini, poiché il compito del lavoro critico e storico è a priori quello di osservare, descrivere, comprendere, classificare, spiegare... Questo è il segno distintivo di una disciplina fondata sulla parola, che cerca di rendere conto dell'eloquenza delle opere d'arte che studia. Eppure ci sono molti fenomeni che sfuggono ai registri della discorsività tradizionale e che mettono alla prova l'atto stesso di nominare e, con esso, le categorie che hanno strutturato la disciplina della storia dell'arte (Georges Didi-Huberman). Scegliendo di (ri)pensare il tema dell'indeterminazione nel numero 18 di Studiolo, abbiamo voluto accompagnare e ampliare una riflessione che è stata al centro della preparazione della mostra Gribouillage / Scarabocchio. Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly, organizzata nel 2022 a Villa Medici e nel 2023 alle Beaux-Arts de Paris. L'indeterminazione è all'opera in vari modi nel disordine grafico dello scarabocchio. Tale pratica, che popola i margini delle opere rinascimentali, sembrava inclassificabile, persino incomprensibile, secondo i criteri di giudizio e le convenzioni artistiche dell'epoca. Solo nel XX secolo, quando finalmente uscì dall'ombra, iniziò a riecheggiare le ambizioni e il desiderio di indeterminazione (della visione, della forma, del contenuto, delle categorie...) delle avanguardie artistiche: "Non figurare nulla, figurare almeno ciò che non ha nome, l'indeterminato", scriveva Jean Dubuffet. Come possiamo afferrare un fenomeno quando non ci sono parole per descriverlo, senza rinnegarlo e mantenendo l'elemento di confusione e perplessità che impone? La questione delle parole è centrale nel problema dell'indeterminazione. Come sottolinea Dario Gamboni, l'indeterminazione è spesso definita negativamente "come lo stato d'animo di una persona che non è in grado di prendere una decisione, di determinarsi" e come "il carattere di qualcosa che non è definito, stabilito, delimitato con precisione". Numerosi fenomeni ed espressioni visive sono di questo tipo: Leonardo da Vinci non riusciva a trovare le parole per descrivere le qualità sfuggenti e indescrivibili della natura che cercava di dipingere (Elena Paroli); i critici d'arte sono stati spesso sconcertati dall'incapacità descrittiva della maggior parte dei linguaggi di esprimere gli aspetti più sensibili dell'arte e di ridurre l'esperienza soggettiva a un dato oggettivo (Guillaume Cassegrain). La creazione è un incontro con l'indeterminato: con le infinite e illimitate possibilità contenute nella materia stessa (Baptiste Tochon-Danguy). La mancanza di determinazione si trasforma quindi in un potenziale, in una forza che gli artisti possono sfruttare, ad esempio nel non finito come qualità estetica o per creare nuove poetiche visive, che stimolano ulteriormente la percezione attraverso la loro ambiguità, andando contro la chiarezza e la leggibilità retorica delle opere accademiche (Olivier Schuwer). Ma fino a che punto un tale uso dell'indeterminazione è compatibile con la nozione stessa, con il "difetto" della determinazione? Un excursus filosofico e concettuale nella sezione Dibattito mette l'indeterminazione alla prova dell'analisi logica per evidenziare la presunta relatività di questa nozione, sia dal punto di vista della prassi artistica che della sua ricezione (Michele Di Monte).









Stranamente, è spesso il desiderio di non cedere all'indeterminatezza a stimolare le "letture" più avanzate delle opere antiche da parte degli storici dell'arte. È il caso di una nuova analisi dell'affresco del Martirio di San Lorenzo dipinto dal Bronzino nella chiesa di San Lorenzo a Firenze per Cosimo I de' Medici. Tutto in quest'opera è determinato dalla volontà dell'artista e del suo committente (Patricia Rubin)? Una questione tematica non può, ovviamente, tenere conto della varietà di approcci ispirati da una nozione così ricca come quella di indeterminazione. Tuttavia, è un'opportunità per ripensare il ruolo della critica e della disciplina storica di fronte alle dissonanze in atto nelle produzioni studiate, lasciando la porta aperta ad altre forme di conoscenza. Tenere conto dell'indeterminatezza dell'opera, della sua resistenza a essere pienamente afferrata e apprezzata, anche al di là della volontà del suo creatore, significa anche riconoscere l'autonomia dell'arte e l'infinita varietà di incontri che può generare con diverse soggettività. In altre parole, significa riconsiderare l'infallibilità della presunta oggettività dell'analisi e del distacco critico. Ma significa anche essere cauti nei confronti dell'attività ermeneutica e della sua capacità di esaurire tutte le possibili sfaccettature dell'opera. Il modo in cui guardiamo gli oggetti d'arte cambia e la loro profondità vitale si misura nel tempo. Nella sezione Villa Medici, Storia e Patrimonio, due articoli offrono studi da prospettive diverse, ma per nulla contraddittorie, sull'Arazzo Indiano, che negli ultimi anni è stato oggetto di grande interesse, catalizzando una vasta gamma di posizioni, interpretazioni e reazioni (Cécile Fromont, Gerlinde Klatte). Anche in questo caso ci troviamo di fronte al potere dell'arte, al potere delle immagini, le cui motivazioni sono tutt'altro che chiare. Il ruolo di Studiolo è quello di accogliere questi punti di vista complessi e intrecciati, di sfidarli, di illuminare senza costringere e di alimentare il dibattito con tutti gli approcci metodologici e i punti di vista intellettualmente fondati sulla ricerca.






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