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18.02.2016
“Il progetto di Cucchi [Morro d’Alba, 1949; vive e lavora a Roma] (…) comprende tre elementi che toccano sia il pavimento che la parete principale del Grand Salon. Il primo è coperto da una sorta di labirinto effimero i cui contorni, fatti di polvere bianca destinata a scomparire, sono una riproduzione tautologica di quelli di una pianta immaginaria della Villa, di fronte alla quale lo spettatore prova un leggero disorientamento dovuto sia alla percezione improbabile che prova (…) sia all’inversione di prospettiva che provoca (…). Al centro c’è un’immaginaria statuetta di bronzo, sorprendente per i suoi tratti fisionomici ambigui (…) e per i suoi molteplici riferimenti culturali (…). La scultura ricorda la rappresentazione di un idolo, proprio al centro degli apparati grafici che la circondano e della stanza in cui si trova, di cui ridisegna in modo idealizzato le proporzioni e le funzioni architettoniche. Queste ultime sono emblematicamente assimilate a quelle di un tempio di culto indefinito, ma ricco di una spiritualità profonda e autentica, priva di qualsiasi connotazione. Questa assenza di riferimenti significa che i rituali celebrati qui sono puramente laici e intellettuali, come ripete il grande dipinto che copre la finestra centrale di fronte all’ingresso. In combinazione con gli arazzi Gobelins, di cui reinterpreta e rinnova la composizione e la disposizione, quest’opera ha uno sfondo uniforme di toni chiari della terra mescolati a riflessi di bronzo chiaro. Al centro si trovano le sagome di due individui, delineate in oro e unite da una testa zoomorfa, al di sotto della quale la tela perde improvvisamente il suo aspetto piatto per diventare un ovale concavo e irregolare, simile al cratere di un vulcano. I segni zodiacali sono incisi nel lampadario di metallo (…)”.
ppp, Enzo Cucchi, febbraio 2016.