Call for papers | Studiolo n°18 (2022)

Pubblicata dall’Accademia di Francia a Roma, Studiolo è una rivista annuale di Storia dell’arte dedicata alla produzione e agli scambi artistici tra l’Italia, l’Europa e il Mondo, dal Rinascimento ai nostri giorni. Costituisce uno spazio aperto alle ricerche più recenti che interessano la Storia dell’arte, tanto nei suoi argomenti quanto nei suoi metodi.

Ogni numero è composto da un dossier tematico e da alcune rubriche: la rubrica essais, contenente articoli fuori tema, débats, legata ai dibattiti storiografici, patrimoine et histoire à la Villa Médicis dedicato alla storia dell’Accademia di Francia a Roma, alle attività di ricerca e ai cantieri di restauro programmati e seguiti dal dipartimento di storia dell’art. Infine, nella rubrica champ libre, Studiolo accoglie le proposte dei borsisti dell’anno in corso.

Dossier tematico: L’Indeterminazione

Jacopo Pontormo, Studio appartenente all’album Corsini, carboncino su carta preparata alla sanguigna, 219 x 180 mm, Roma, Istituto Centrale per la Grafica

Qual è la parte dell’indeterminazione in una produzione artistica? Come renderne conto senza rinnegarla, senza per l’appunto riportarla al suo contrario: la determinazione?

Il numero 18 di Studiolo intende interrogarsi, da una parte, su ciò che supera l’intenzione artistica e costituisce la parte più viva e mutevole delle opere d’arte, e, dall’altra, sulla ricezione critica e i percorsi epistemici di cui gli storici dell’arte si sono serviti per esaminare l’indeterminazione.

Il paradigma dell’immagine retorica capace di raccontare una storia, di esprimere un’idea, di farsi soggetto, appare molto presto nella storia della rappresentazione e nella determinazione delle sue funzioni. Fa emergere con esso un approccio verso l’immagine molto particolare: quello dello spettatore (devoto, collezionista, frequentatore di musei…) il quale cerca di discernere un contenuto e uno stile, che cerca di comprendere l’immagine, di classificarla secondo nozioni di genere e/o di funzione per esempio.

In questo rapporto che impegna l’artista, l’opera e lo spettatore, l’indeterminazione può essere pensata come quel “residuo lasciato inespresso da un’articolazione difettosa”, ciò che sfugge ai canoni della discorsività tradizionale e ai principi dell’iconografia (G. Cassegrain).

I tentativi di cogliere le modalità di espressione di un’opera d’arte per riconfigurarle in un discorso articolato tendono a concepire l’opera come un tutto, che si presenta come una grammatica in cui ogni elemento è sovradeterminato da una logica interna come quella del soggetto/senso. Però le opere che studiamo, per il loro carattere equivoco, ambiguo, ambivalente, oscuro, strano, eludono spesso questa logica, costituendosi attraverso indeterminazioni che mettono alla prova l’atto stesso del nominare, e con esso, la disciplina della Storia dell’arte (Didi-Huberman). È sufficiente osservare la storia della ricezione per accorgersi fino a che punto interpretazioni divergenti siano state date di un medesimo oggetto, e come la storia del vedere non sia univoca.

Nel volume Subject as Aporia in Early Modern Art, Alexander Nagel et Lorenzo Pericolo attirano, a ragione, l’attenzione sul carattere indeterminato delle opere d’arte premoderne e sull’aporia come problema per l’arte a partire dal momento in cui emergono nuovi soggetti, nuovi formati, generi, tecniche e contesti di presentazione delle opere. L’intelligibilità delle opere d’arte non cessa allora di essere rimessa in discussione a vantaggio di una valorizzazione inedita di altre qualità intrinseche del lavoro artistico come l’inventiva, l’ingegno, la forza, il furore, la bravura, la disinvoltura… (N. Suthor). Pensata in termini di “vicolo cieco” o di “perplessità” che stimola gli interrogativi, l’indeterminazione riguarda tanto le opere d’arte quanto i processi di interpretazione che essa sfida per mancanza di attributi, per i paradossi degli spazi figurati, l’ambiguità degli oggetti, dei personaggi, dei movimenti e degli affetti rappresentati, o ancora per la resa pittorica, che impedisce all’occhio di distinguere chiaramente la forma nelle zone d’ombra, gli sfumati, gli aplat della pittura. Che si pensi al carattere enigmatico delle Vedute di città ideali realizzate dai maestri del Quattrocento, alla brevitas poetica dei pittori veneziani come Giorgione, all’opacità semantica delle cornici e i dei margini nei decori manieristi, che valorizzano la sorpresa e la meraviglia, all’indeterminazione di certe figure che vengono qualificate, secondo i contesti, come spiritelli, amorini o putti, o a tutte queste categorie, come quella delle “teste”, che si fondano, per essere esatti, sull’incertezza di un’identità.

Tuttavia, l’indeterminazione non è relativa unicamente al soggetto delle proposte artistiche, determinato da una supposta volontà dell’artista. D’altronde, ci si potrebbe domandare fino a che punto l’opera non sia, in realtà, fatta di indeterminazioni, di vicoli ciechi, di gesti non pensati, di indecisioni, di gesti mancati, di un non finito, così come di premeditazione, scelte e prese di posizione. Per Paul Klee, ad esempio, il disegno non è altro che una linea che si porta a passeggio, la traccia di un movimento, distante da qualsivoglia intenzione dichiarata.[1] Marcel Duchamp definì “come coefficiente d’arte” la « relazione aritmetica tra “ciò che è inespresso, ma proiettato” e “ciò che è espresso senza intenzione” »[2]. L’inconscio non svolge anche lui un ruolo nel processo creativo (J. Koering)?

È importante allora prendere in considerazione la pratica artistica, e tutto ciò che vi è intorno, riflettendo anche sui momenti di gestazione, sui processi artistici, sulla dimensione empirica dell’esperienza creativa, che si nutre di un abbandono coltivato, di certe forme di “inoperosità” fino a fare del caso un metodo di lavoro (S. Troche).

Non era necessario attendere il XXe secolo affinché l’indeterminazione dei segni sui muri macchiati di sporcizia, il carattere incoativo delle nuvole e delle configurazioni aleatorie delle vene del marmo attirassero l’attenzione degli artisti e incarnassero, in quanto immagini potenziali, dei paradigmi per la creazione artistica (D. Gamboni). Quest’ultima non si imbarazza certo di fronte ai segni, alle colature, alle tracce involontarie che perturbano la figurazione, nella misura in cui tutti questi “incidenti” evocano, al contrario, il crogiolo vivo dell’atelier. Questi segni discreti, questi fenomeni instabili e aleatori, in qua del linguaggio, hanno di fatto il potere di far apparire la “sceneggiatura di produzione dell’immagine” (A. Chastel), con i suoi incidenti e il potenziale euristico del contesto materiale.

Prendendo come tema la questione dell’indeterminazione, il prossimo numero di Studiolo non cerca tanto di sollecitare contributi che tentino di risolvere i nodi dell’indeterminazione, quanto di accogliere proposte che individuino queste indeterminazioni in modo tale da rendere conto dei loro effetti, dei rapporti nuovi che costruiscono e dei processi di adattamento metodologico che impongono, tenendo conto che i fenomeni che ci sfuggono sono spesso i più fecondi dal punto di vista metodologico e teorico.

Si tratterà allora di ripensare anche il significato dell’affermarsi di alcuni paradigmi occidentali della conoscenza, basati sulla nozione di oggettività e di osservazione distaccata (L. Daston, P. Galison), per lasciare la porta aperta alla nozione del “al di fuori”: cioè ciò che sfugge alla definizione, ma permette di accedere ad altre forme di sapere e di conoscenza (D. Haraway).

In questo tentativo di un cambiamento di prospettiva, si intende lasciare spazio anche alle più recenti questioni legate all’indeterminazione dei generi e/o delle specie basandosi sugli approcci innovativi aperti dagli studi queer e antispecisti, che interrogano le costruzioni storiche e culturali delle norme e delle categorie che determinano i diversi punti di vista e le diverse percezioni. Questi approcci si rivelano fruttuosi non solo per ripensare i rapporti tra i generi (maschile/femminile) e tra le categorie (umana e animale, umana e vegetale, vivente e non vivente), ma anche per ripensare la natura ibrida e porosa di molte produzioni artistiche, inclassificabili nei confronti delle scale di valori, dell’organizzazione del sapere, delle norme e categorie stabilite dalla società e dalle istituzioni culturali, e che, per questo motivo, possono aver avuto un posto marginale, oltre che un ruolo precursore.

D. Arasse, Le Détail : pour une histoire rapprochée de la peinture, Paris, 1992.
G. Careri, Envols d’amour. Le Bernin : montage des arts et dévotion baroque, Sèvres, 1990.
G. Cassegrain, La Coulure. Histoire(s) de la peinture en mouvement (XI-XXIe siècles), Paris, 2015.
G. Didi-Huberman, Devant l’image : questions posées aux fins d’une histoire de l’art, Paris, 1990.
G. Didi-Huberman, Ninfa moderna : essai sur le drapé-désir, Paris, 2015.
U. Eco, L’Œuvre ouverte, Paris 1965.
J. Elkins, Why Are Our Pictures Puzzles ? On the Modern Origins of Pictorial Complexity, New York, Londres, 1999.
D. Gamboni, Images potentielles. Ambiguïté et indétermination dans l’art moderne, Paris, 2016.
P. Geimer, Images par accident : une histoire des surgissement photographiques, Paris, 2018.
N. Giffney, M. J. Hird, Queering the Non/Human, Aldershot, 2008.
E. Glissant, Poétique de la relation, 1990.
D. Haraway, Chthulucene, sopravvivere su un pianeta infetto, 2019.
L. Daston, P. Galison, Objectivity, 2010.
T. Ingold, Faire. Anthropologie, archéologie, art et architecture, Paris, 2017.
M. Jeanneret, Perpetuum mobile. Métamorphoses des corps et des œuvres, de Vinci à Montaigne, Paris, 1997.
J. Koering, Caravage, juste un détail, Paris, 2019.
B. Latour, L’espoir de Pandore ; pour une version réaliste de l’activité scientifique, Paris, 2001.
Nagel et L. Pericolo, Subject as Aporia in Early Modern Art, Farnham, 2010.
N. Suthor, Bravura: Virtuosity and Ambition in Early Modern European Painting, 2021.
S. Troche, Le hasard comme méthode : figures de l’aléa dans l’art du XXe siècle, Rennes, 2015.

Gli articoli possono essere pubblicati in tre lingue, francese, italiano e inglese e devono essere inediti. Nelle rubriche dossier, essais e débats, gli articoli devono essere compresi tra 30 000 e 80 000 caratteri (spazi e note comprese). Nella rubrica patrimoine et histoire à la Villa Médicis devono essere compresi tra 10 000 e 50 000 caratteri (spazi e note comprese).

Le immagini delle opere riprodotte devono essere fornite dagli autori libere da diritti.

Gli autori devono rispettare nei loro articoli le norme editoriali (disponibili sul sito dell’Accademia di Francia a Roma www.villamedici.it).

L’articolo deve essere accompagnato da un riassunto di 800 caratteri circa e da una biografia dell’autore di 800 caratteri che presentino le funzioni, le ricerche in corso e le pubblicazioni recenti, e completato dall’indirizzo mail. Biografia e riassunto sono da trasmettere in un documento distinto.

Tutti i documenti sono da inviare per mail, in formato Word a Patrizia Celli, segretaria di redazione: [email protected]

Consegna degli articoli: 14 marzo 2021

Stampa: inizio 2022

Direttore della pubblicazione: Sam Stourdzé

Caporedattrice: Francesca Alberti

Coordinazione editoriale: Patrizia Celli e Cecilia Trombadori

Comitato di redazione: Marc Bayard (Mobilier National), Diane Bodart (Columbia University), Olivier Bonfait (Université de Bourgogne), Maurice Brock (CESR, Université de Tours), Luisa Capodieci (Université Paris 1 Panthéon – Sorbonne), Stefano Chiodi (Università Roma Tre), Frédéric Cousinié (Université de Rouen Normandie), Ralph Dekoninck (Université de Louvain), Antonella Fenech (CNRS/ Centre André Chastel), Elena Fumagalli (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia), Sophie Harent (Musée national Magnin, Dijon), June Hargrove (University of Maryland), Michel Hochmann (EPHE, Paris), Dominique Jarrassé (Université de Bordeaux 3, École du Louvre), Annick Lemoine (musée Cognacq-Jay), Christophe Leribault (Petit Palais – musée des beaux-arts de la ville de Paris), Maria Grazia Messina (Università degli Studi di Firenze), Patrick Michel (Université Charles de Gaulle – Lille 3), Philippe Morel (Université Paris 1 Panthéon – Sorbonne), France Nerlich (Université de Tours, INHA), Patricia Rubin (Institute of Fine Arts, New York University), Tiziana Serena (Università degli Studi di Firenze), Anne-Elisabeth Spica (Université de Lorraine), Giovanna Zapperi (Université de Tours).

[1] Paul Klee, Notebooks  The Thinking Eye, Londres, t. 1, 1961, p. 105.

[2] Duchamp du signe, cité par D. Gamboni, p. 35.

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