«Racconto ‘il male’ attraverso la risata» – Intervista a Charles Pennequin / Video

La città è un buco. La città è un buco e i suoi abitanti respirano. La città è un buco e vi si respira dentro. I suoi vicini sono dentro, sono in un buco. I suoi vicini, i suoi abitanti uomini e donne , tutti vi respirano, tutte le persone dentro, nel buco. La città è un buco e le persone che leggono, leggono tutte. Tutti vorrebbero leggere …. Quella dello scrittore Charles Pennequin è una lettura-performance realizzata quasi in apnea, con un’immersione energica e “precipitosa” nel testo, che prende vita grazie a un’interpretazione appassionata e ritmata. Con un passato da poliziotto, Pennequin è oggi diventato uno scrittore affermato in Francia, che pubblica con case editrici come POL e Al Dante. Martedì 3 novembre, nel Grand Salon di Villa Medici, Pennequin ha inaugurato la nuova stagione del ciclo “Letteratura oggi” – animato dai borsisti Béatrice Cussol e Stéphane Audeguy – con un reading di testi tratti da “La ville est un trou” e “Mon Bynôme” a cui hanno partecipato attivamente i numerosi lettori venuti ad ascoltarlo. Come si è avvicinato alla scrittura? Ho sempre un po’ scritto, ma solo nel 1992 mi sono interessato alla poesia, quella sonora e contemporanea. Ho scoperto molti scrittori dell’avanguardia e mi sono avvicinato alla rivista TXT, che era alla sua conclusione. L’incontro con Christian Prigent è stato decisivo: è stato lui a convincermi a scrivere sul serio, ha dato il via a dei testi e poi ho iniziato a fare delle letture. Altre due figure importanti sono state Bernard Heidsieck e Christophe Tarkos, che ha anche influenzato la mia scrittura. Da allora ho iniziato a fare e a partecipare a delle riviste, e a scrivere libri, a partire dal 1995. Lei è sia poeta che romanziere, Qual è il rapporto tra le due forme letterarie nella sua opera e nella sua ispirazione? Ora mi esprimo soprattutto con la prosa, ma è una prosa che ha un rapporto molto stretto con la poesia: è ritmata e respira in corrispondenza dei punti. Scrivo delle mini-fiction con dei personaggi, delle voci che appaiono e scompaiono. Il risultato è una polifonia di voci. Nelle sue letture la performance e l’improvvisazione hanno un ruolo molto importante… E’ vero, improvviso spessissimo con il dittafono. Mi capita di “annotare” dei pensieri quando sono a casa, o direttamente in scena: parlo e restituisco ciò che faccio e che vedo nella vita, gioco con la velocità. La mia idea è quella di scrivere ovunque e in qualsiasi momento. Di solito inizio spinto dalla voglia di dire cose che mi travolgono in quel momento, le parole le ho più in bocca che in testa e nelle mie performance l’energia ha un ruolo molto importante. Può succedermi di scrivere o improvvisare al dittafono sul treno, in macchina, ovunque, e di solito ciò che mi esce di getto è ciò che resterà scritto e verrà pubblicato, non faccio grandi modifiche, ma piuttosto qualche piccolo aggiustamento, anche se non sempre. Nei miei testi entrano tantissime cose del quotidiano: conversazioni, pensieri filosofici, riflessioni di altre persone. A partire da questi elementi centralizzo e scrivo un testo, oppure getto la base per un’improvvisazione. Mi è capitato anche di girare da solo, in macchina, un video con il telefonino. Grazie alle improvvisazioni le mie letture sono sempre diverse una dall’altra. L’ultima volta ho iniziato la lettura fuori dalla sala, poi pian piano sono entrato dentro, gli spettatori erano quasi al buio, e sono arrivato in scena. Ogni tanto accendevo il dittafono e improvvisavo delle frasi che mi nascevano direttamente nella bocca e, a partire da quelle, dicevo altre cose. Poi usavo un megafono, ma per parlare quasi a bassa voce. E’ la prima lettura che fa in Italia? Qual è il suo rapporto con la letteratura italiana? Sì, è la prima lettura che faccio qui e ne sono felicissimo, è emozionante trovarsi in questo luogo bellissimo, dove ho la sensazione di essere immerso nell’universo dell’arte. Tra gli scrittori italiani che amo di più c’è Carlo Emilio Gadda, che tra l’altro è tradotto benissimo. Ha una scrittura politica e allo stesso tempo divertente, quasi carnevalesca. Le sue parole ruotano spesso attorno al concetto di “male” e malessere, ma producono comunque un effetto divertente. Cerco di esprimere il male attraverso la risata: dico cose tragiche, ma che fanno ridere. La vita è fatta anche di sofferenza ma il fatto di scriverlo crea un cortocircuito che fa irrompere la risata tra una parola e l’altra. Esplicitare il male, il disagio e la sofferenza permette di prendere una certa distanza dalla realtà. Dichiarazioni raccolte da Michela Greco

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