Fotografo

Emilie di Nunzio James

Emilie di Nunzio James

2008-2009
2008-2009

Emilie di Nunzio Joly
Periodo: 2008-2009

Professione: Fotografo Emilie di Nunzio Joly è una giovane fotografa 32enne dal percorso atipico. Formatasi all’Ecole Supérieure des Arts Appliqués de Paris Duperré, ha ben presto integrato i suoi studi con gli atelier di Broderie Haute-Couture (ricamo e alta moda) e lavorato per i più grandi stilisti, prima di appropriarsi di queste pratiche per applicarle all’arte contemporanea. E’ attraverso il prisma della fotografia, che pratica ormai da quasi 10 anni, che Emilie di Nunzio Joly rivela il suo talento plastico. Scoperta da Alain Sayag – conservatore dello studio fotografico del Museo d’Arte Moderna Centre Pompidou di Paris -, quando viene selezionata per il Concorso della Fondazione HSBC per la Fotografia nel 2007 conferma il suo amore per questa forma di comunicazione, che associa sempre più liberamente ad altre, come la scrittura e, ancora, il ricamo. La serie che la identifica maggiormente è senza dubbio ‘Broderie Fraîche’, fotografie e installazioni che hanno per oggetto frutti e verdure ricamati a mano che si alterano nel tempo e di cui la fotografa cattura i momenti salienti. Queste nature morte contemporanee, di grande rigore formale, immergono lo spettatore in un mondo ultra-sensibile, in cui vita e morte si accostanouna all’altra in un’inedita armonia. La serie ‘Icônes, Brode-moi si tu m’aimes !’ (“Icone, ricamami se mi ami!”), ancora in corso, mette in scena ritratti di persone importanti nella vita della fotografa. Dalla banchiera al deputato, dal fotografo all’osteopata, realizza dei dittici di grande formato composti da una parte da un dettaglio del viso dei suoi modelli, di cui ricama la primastampa per poi fotografarla e ingrandirla, e dall’altra da un testo, racconto di finzione e ritratto del loro rapporto. Omaggio ai ritrattisti, questa serie in bianco e nero è un’ode al legame e all’incontro. La serie “Eaux” (“Acque”) ritrae tre città: Parigi, Marsiglia e Roma. Attraverso un vetro ricoperto di goccioline – il tunnel della scala mobile del Beaubourg, la parta del battello, la finestra del suo atelier romano – la fotografa mostra dei paesaggi di città mitiche e li trasfigura, giocando con le perturbazioni visive come se fossero pennellate di acquerello. Borsista all’Accademia di Francia a Roma per un anno, torna alle sue terre d’origine, da cui sono partiti negli anni ’50 i suoi nonni. In un contesto tanto particolare come quello di Villa Medici, luogo limite tra la città e la sua “campagna”, si interroga sulla frontiera a modo suo, grazie al confronto dei suoi ricordi d’infanzia con il suo sguardo adulto, attraverso la focale della fotografia. Che cosa aveva portato dall’Italia? Che cosa le resta? Il suo progetto romano, “Mon Forum, La fabrique du souvenir – Cette Vie-Là” (“Il mio Foro, La fabbrica dei ricordi – Questa città/vita qui”, è una delle risposte che tenta di dare. Ha deciso di lavorare in due tempi. Il primo, che chiama “Studio” – riferendosi ai due significati italiani della parola, quello di atelier e quello di apprendimento -, composto da fotografie digitali in bassa definizione dalla composizione rigorosa; e il secondo, che chiama “Opere” – plurale di opera – ancora una volta con ironia, costituito da piccolissime stampe a prova unica secondo processi di sviluppo antichi, come la cianografia. E’ dunque un ritorno alle origini a doppio ingresso quello che effettua qui: verso la sua ricerca identitaria e verso la genesi della sua pratica, rimettendosi così, a Villa Medici, nell’ottica dell’apprendimento. La fotografa, depositaria qui di un “medium” detto “nuovo”, pone dunque in filigrana la sua prima domanda da cattiva studentessa, con un leggero sorriso agli angoli della bocca: a Roma, e ancor di più all’Accademia, bisogna ripassare i propri classici?

“In altri tempi c’era chi preferiva il ‘Viaggio intorno alla mia stanza’ al ‘Viaggio in Italia’. Tra questi due tipi di racconto, Emilie di Nunzio Joly non ha scelto. Ciò che è venuta a cercare in Italia è il piccolo modello di gesso del Colosseo che campeggia tra due foto di famiglia. E più ancora del monumento, la sua rovina, il suo passato, la sua traccia. Ritorno alle origini, dunque, a un luogo idealizzato più che ideale: percorso legittimo dell’emigrante e dell’artista che si interroga sul suo lavoro e sulle sue origini. Non solo. L’Accademia, la Villa, è per lei – che gioca con le parole su questa città/vita qui – un quotidiano in cui la nozione di frontiera non ha più alcun senso. Conta solo lo sguardo – o l’obiettivo. Non importa essere di qui o di altrove, facendo il turista ognuno viaggia nel suo mondo”.

Emilie Beck Saiello Docteur en histoire de l’art, Villa Medici

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